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La Pastorale a casa tu Vicè

Come si racconta un’illustrazione il cui protagonista è il padre di una delle tradizioni popolari gallipoline più sentite, in grado di resistere al tempo che passa e allo spazio che cambia? La pastorale perdura, infatti, nel vortice delle trasformazioni sociali, preservando una natura che affonda le sue radici in un passato bisognoso di aggregazione. Un’orchestra di pescatori, artigiani, impiegati e operai si riuniva per andare in giro per le vie della città vecchia fino all’alba, scaldando con le sue dolci note l’aria gelida degli inverni sul mare. E quindi, tornando a noi: come si può spiegare quest’antico sapore, se non intervistando l’artefice di una pastorale emblematica come quella di Gallipoli?

Beh, ci ho provato, ma Vincenzo detto “Vicé” – impiegato comunale in pensione, 71 anni di lucidissima gallipolinità – mi ha travolta con la sua storia, senza che avessi modo di fargli le mie domande. Un fiume in piena, un flusso di coscienza impetuoso e inarrestabile. La sensazione è stata quella di trovarsi di fronte a qualcuno che ti sta consegnando la cosa più cara che ha, la cosa che ama di più in assoluto, una creatura che è nata con lui. E quando qualcuno decide di consegnarti una sua creatura, decide anche il modo in cui farlo.  

Qui di seguito ho trascritto alcuni stralci che sintetizzano questa preziosa consegna. Per tutto il resto, e cioè per tutto quello che non è restituibile dal mio scritto, c’è la pastorale a casa tu Vicé, pronta ad accogliervi tutti ogni antivigilia di Natale per le vie di Gallipoli vecchia.

“La pastorale a casa tu Vicé nasce più o meno negli anni ’70. Mio fratello, che ora non c’è più, all’epoca era presidente dell’UNICEF Lecce e con lui proprio in quegli anni abbiamo cominciato a fare il primissimo presepe vivente non solo gallipolino, ma di tutta la Puglia – e non mi sbaglio. Era un presepe bellissimo, tutto per le strade di Gallipoli, e in quell’occasione veniva anche il vescovo Quaremba a battezzare i bambini […]

Ho continuato con la tradizione del presepe anche dopo la scomparsa di mio fratello, per me senza presepe non è Natale. […] Poi ho cominciato a fare la pastorale. Suonavo il mandolino, poi anche il banjo. Ho cominciato con semplici cose: due pittule a casa mia, un bicchiere di vino, le orecchiette con le rape, pasta pasuli e cozze, ancora pittule, pittule cu lu lavatu, pittule alla pizzaiola, panini. Serate bellissime. […] Con gli amici miei stretti organizzo l’antivigilia a casa mia: il 23 dicembre ci ritroviamo in 13, 14. Preparo una tavolata a casa mia, pasta e pesce, poi facciamo il giro della città vecchia. […] La gente ne parla tantissimo sui social. Prima nelle pastorali si andava in giro a casa delle persone. Per loro era un onore che arrivassimo a casa da loro per suonare la pastorale. Ci offrivano un liquore, un dolcetto, il vino, e alla fine del giro arrivavamo ubriachi. […] Era una gioia per me, così grande che non ho mai neanche chiesto contributi, ho sempre fatto tutto di tasca mia. È venuta a trovarci persino gente da Bari.[…] Noi cominciamo il giorno di Santa Teresa, il 15 ottobre. Si fa il bagno alla Purità, e mangiamo le pittule con un bicchiere di vino. Ci sono centinaia di persone che fanno il bagno, pure io lo faccio. […] D’altronde si dice “Se vuoi fare un buon Natale, de Santa Teresa ha cuminciare”. Ogni sera si esce e si va in giro a suonare fino all’indomani mattina. È bellissima la pastorale, talmente semplice e talmente famigliare. Non so dire, ce l’abbiamo nel cuore. Lo stare insieme.”

Se dovessi definire la pastorale a casa tu Vicé con una sola parola?

Un dono di Dio.

E una sola parola per definire Gallipoli?

Gallipoli vuol dire città bella. Quindi per me è bella, bellissima, nonostante la politica non l’abbia valorizzata come merita. È così bella che io non sono mai riuscito ad andare via.

Si ringraziano:

Vicé, per il tempo, la disponibilità, l’umanità.

Max De Giorgi, eccellente fotografo gallipolino, per i suoi scatti e per l’ispirazione.

Marco D’Aprile, per aver organizzato l’intervista.

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