Quando torni?
Sono queste le parole che mi hanno accompagnata nella mia trasferta a Milano.
Quando torni?
Io sapevo quasi sempre come rispondere. Si, perché compravo biglietti di treni e aerei prima ancora di tornare sù dopo quel weekend passato giù. Allora ogni mese sapevo perfettamente che sarei tornata il mese successivo e questo mi faceva sentire bene, più serena.
La verità forse è che mi faceva sentire più serena non rispondere ad una domanda più feroce, più tagliente, una di quelle che non pensavo mi avrebbe mai fatto così male.
Quando torni?
Sembra la stessa domanda, ma senza la mia risposta, per me, questa domanda ha un significato diverso: il punto non è quando torni a casa il prossimo mese, il punto è quando torni a casa e ci rimani. E io, a questa domanda, non avevo mai una risposta. Ma rispondevo Il prossimo mese e a tutti bastava, dunque lo facevo bastare anche a me.
Talvolta Quando torni? diventava Quando torni…che forse era peggio del Quando torni? quello vero.
Quando torni ci andiamo. Quando torni ti porto in quel posto lì. Quando torni stiamo insieme.
Diventava una vita procrastinata, perché io in quel Quando torni… ci credevo un sacco e quindi tornavo piena di curiosità, di emozione, di voglia di fare e vedere. E quando andavo via, pensavo solo che quando torno ho un sacco di vita bella da recuperare. Chissà se tutti mi aspettano davvero per fare quella cosa che dobbiamo fare quando torno.
Il recupero è un elemento fondamentale quando sei fuori casa. È un obiettivo e una condanna. In due giorni recuperi un mese, in dieci giorni sei mesi, durante le feste di Natale cerchi di recuperare tutto l’anno. È tutto un recuperare tempo perduto. Succede così quando sei lontano: le cose accadano e non aspettano quando torni, accadono e basta. E tu non ci sei.
Quando torni?
Il vero problema è questo: non sapere quando. Se avessi una data da darmi e da dare agli altri sarebbe tutto più semplice. Sei lontano, ma sai esattamente per quanto tempo sei lontano e allora lo spazio si accorcia un po’, i chilometri si dimezzano con il passare dei giorni. Sei lontano, ma ti riavvicinerai. Invece quando torni non lo sai e tutto si dilata, si fa lungo, largo, sfocato.
Certe volte mi chiedo se questa domanda mi avrebbe assillato in altre circostanze. Se non avessi un focolare dove tornare, dei legami che tirano come molle. Sapere quando torni è più difficile quando sai dove tornare. Quando sai da chi tornare.
Quando torni?
Papà non ha smesso di domandarmelo per due anni. Per lui era già troppo aver permesso che l’appendice più piccola del suo corpo si fosse ribellata alla sua personalissima forza di gravità per andare dall’altra parte del paese. E sapermi lontana, saperci ignari del mio ritorno tutti quanti, peggiorava la situazione.
Venendo da un paesino di provincia nell’entroterra della Puglia, Milano sembrava lo spazio. Aveva i suoi satelliti, le sue leggi astrali e io ero un puntino nello spazio. Uno spazio che però era anche reale oltre che simbolico. Non finiscono le strade, non finisce il cielo, il Duomo lo buca il cielo. Non finiscono le giornate, non finiscono le cose da fare, non finisce la voglia di farle.
Lo spazio. Era tutto dilatato. Tutto infinito.
Faceva paura, ma faceva anche tanta bellezza.
I primi periodi lontani non ti rimangono troppo impressi nella mente. È l’inizio e si sa, gli inizi sono troppo caotici e pieni di adrenalina per lasciar spazio ai pensieri.
Poi un giorno, quando ti sei assestato, quando tutto è al posto non proprio ma nuovo, di qualcos’altro, un posto che devi scoprire ancora, allora inizi a rallentare un po’.
Sembra stupefacente: rallentare a Milano. Nessuno rallenta. Se vai piano non vai lontano, se vai piano vieni sbattuto, spinto, calpestato. Questa cosa potrebbe far paura, ma a me non importava granché. Io camminavo nelle metro, camminavo per la strada, la mattina quando tutti corrono e la sera quando corrono ancora più veloce per tornare a casa. Io camminavo. E camminare mi ha restituito la fortuna di osservare. Osservare porta bellezza, perché quando osservi le cose, con lentezza e pazienza, ne scorgi la parte migliore. Quindi io camminavo, osservavo e mi prendevo la parte migliore di Milano.
Non mi dispiaceva perder tempo, anche perché tornare a casa presto non è la stessa cosa di tornare a casa mia presto. Non c’è nessuno ad aspettarti. Anche se a volte quel nessuno era una carezza leggerissima dopo una giornata di schiaffi.
Non sai mai se voler stare da solo o in compagnia quando sei a Milano. Ti manca la compagnia e la solitudine ti alletta.
Quindi osservavo, e quando osservavo mi accorgevo giorno dopo giorno che c’era qualcosa di magico intorno a me. Qualcosa a cui non sono stata in grado di dare un nome.
Il cielo è diverso, i colori sono diversi, anche l’aria è diversa, purtroppo.
Quando torni?
Quando ho smesso di camminare è diventato pedante il tempo. Un giorno all’improvviso mi sono accorta che non camminavo più, non osservavo più. E la bellezza mi sfuggiva di mano.
Dunque, a malincuore, ho capito che mi sono lasciata assorbire dalla fretta della città, dai suoi ritmi dirompenti e insensati.
Forse però l’ho fatto per cercare di velocizzare lo scorrere dei giorni. Se vado veloce la giornata si accorcia. A volte ci sono riuscita, altre proprio no.
Quando torni?
Spesso avrei voluto rispondere che torno. In fondo questa domanda, Quando torni?, non era realmente una richiesta quantitativa, quanto qualitativa.
Pensi di tornare per costruire una vita qui, nella tua terra, con noi? Pensi di poter essere felice lì, in un posto nuovo, tanto bello quanto smisuratamente schivo?
La quantità del tempo si misura con la qualità dello stesso.
Ricominciare in un posto nuovo ti libera dal personaggio che sei. Quando nessuno ti conosce, puoi essere ciò che vuoi. E mentre ti impegni ad essere ciò che vuoi, lo diventi. E inizia a piacerti.
Questo ti risucchia: non c’è nulla di più allettante che non avere barriere.
La confidenza che prendi con te stesso sboccia e fiorisce su un terreno fertile, libero da radici, pronto ad attecchire.
Quando torni a casa?
Ma che mi ha fatto questa casa? Questa casa che ci dimentichiamo quanto è bella, quanto è rigogliosa, colorata, piena di vita. Cosa mi avrà mai fatto, che ho bisogno di andar via per piacermi e per piacere, per farmela piacere questa terra?
Però io mica la ripudio, mica la ignora, la respingo. Io la conosco e la voglio. E per volerla ho bisogno di andar via. Di guardarmi dentro e attorno. Di racimolare linfa vitale per me, ma soprattutto per lei.
Io per la mia casa voglio essere il fiore più bello che ci sia.
Quando torno…
Quando torno voglio raccontare delle mie avventure. Di quanto può essere buia una strada. Dei tramonti che sembrano bruciare più di quelli pugliesi.
Quando torno voglio metterci mesi, anni ad abituarmi alla distanza, una nuova distanza fra me e la distanza stessa non più fra me e casa. Quando torno sarà tutto capovolto, il cielo a terra la terra al cielo, sarò vicina e mi sentirò lontanissima da tutti. E sarà bello sta volta recuperare…recuperare.
Quando torno voglio raccontare come mi sento con me stessa, quanto amore ho saputo alimentare dentro di me. Come ho capito che finché non mi guardo con quegli occhi con cui mi guardo ora, finché non scatta qualcosa non si torna indietro.
Quando torno devo ricordarmi che è bello non sapere chi essere, ma anche saperlo è bellissimo. E che si può sbagliare e si può sorridere dei nostri fallimenti.
Quando torno voglio portare un pezzo di Milano con me. Ricordarmi la sua luce. Ma voglio anche ricordarmi che c’è qualcosa dentro di me che mi farà tornare e che mi richiama a sé sempre di più: Milano brilla, è vero, ma la Puglia di più.